Donne di Roma
Angelica Kauffmann
Angelica Kauffmann fu una donna geniale che segnò, nella seconda metà del Settecento, la vita artistica di Roma. Nata nel Canton dei Grigioni, visse a lungo a Londra dove aveva contratto uno sfortunato matrimonio con un certo conte di Horn, rivelatosi poi un avventuriero ricercato per truffa in mezza Europa. Si stabilì a Roma nel 1781, dove sposò il pittore Antonio Zucchi e aprì uno studio in via Sistina. Qui si riversò per decenni tutto il fiore della cultura contemporanea europea, da Canova a Goethe, con cui sembra che ci sia stata una liason. La Kauffmann fu grande amica anche del Winckelmann. Nello studio fioccavano le ordinazioni da importanti committenti, dalla corte di Napoli all'imperatore Francesco Giuseppe, per il quale eseguì alcuni grandi quadri di soggetto epico. Anche Caterina di Russia le chiese un dipinto per il suo palazzo in Pietroburgo. Morì nel 1807 ed ebbe solenni funerali durante i quali, per decisione del Canova, furono portate in processione le sue opere, come era stato fatto per Raffaello. La tomba dell'artista è visibile nella chiesa di S. Andrea delle Fratte.
Giuditta Tavani Arquati
L'autunno del 1867 fu uno dei più caldi che Roma avesse mai vissuto, nella storia del Risorgimento. In quegli anni era tornata a Roma da Venezia, dove era stata costretta a rifugiarsi per motivi politici, una giovane donna, una patriota Giuditta Tavani, insieme al marito, Francesco Arquati. La coppia, che aveva un bambino, era in attesa del secondo, e aveva trovato alloggio presso il lanificio dell'amico Giulio Aiani, in via della Lungaretta, luogo di raccolta di un gruppo di popolani che avevano scelto di lottare per la libertà. Il 22 ottobre del 1867 erano tutti riuniti per discutere il programma d'azione per l'ennesimo attentato contro le forze papaline. All'improvviso, un drappello di Zuavi puntò direttamente verso casa Aiani, a seguito di qualche soffiata. Si dette l'allarme ai rivoltosi. I gendarmi circondarono l'edificio. Si sparò dalle finestre e dai tetti. Giuditta aveva raggiunto il marito sul tetto e gli dava manforte passandogli la carica delle armi. Ma tutto fu inutile e l'essersi arresi non salvò la pelle di quei poveretti. Giuditta fu uccisa ed ebbe il ventre squarciato. Al cadavere dell'eroica popolana furono rubati l'orologio e la "broche". Giuditta fu eletta simbolo del coraggio delle popolane romane. A lei è intitolata una piazza di Trastevere.
Marianna Salviati
A sconvolgere la vita salottiera delle belle dame romane fu l'invasione francese. La repubblica romana, una "repubblica da ridere", come l'aveva definita il popolino, aveva privato Roma del suo pontefice. E il popolo fu tutto per il papa. Quanto agli aristocratici, furono pochi quelli che dichiararono la loro simpatia per gli invasori. Grandi francofili furono invece i Borghese e francofila fu la bella Marianna Salviati, sposata felicemente a Marco Antonio Borghese, al quale rimase fedele per quanto il suo salotto fosse frequentato da un buon numero di cicisbei. La sua non celata simpatia per i francesi la portò a prendersi gioco della scomunica papale che veniva a colpire tutti coloro che in qualche modo appoggiavano gli invasori. Una sera Marianna si recò a una cena a palazzo Chigi e, nell'entrare, chiese per celia ai padroni di casa se avessero il cuore di ricevere una scomunicata. Quella sera stessa fu colpita da un ictus e non ci fu verso di farla riprendere. Il popolo commentò quella morte come la mano di Dio che si abbatteva su chiunque osasse contrastare il suo rappresentante in terra.
Beatrice Cenci
Bella, dai lunghi capelli biondi, Beatrice Cenci ha vent'anni quando nel 1598 uccide a martellate il padre Francesco, con l'aiuto del fratello minore Giacomo e dell'amante Olimpio Calvetti. Ma quella morte Francesco se l'era meritata. Padre-padrone, era sempre stato un uomo brutale e perverso, che massacrava i figli a legnate e li costringeva a subire una serie di abusi morali e fisici, spinto com'era anche da impeti incestuosi. Ma al processo Beatrice fu accusata di omicidio e condannata da papa Clemente VIII alla decapitazione.
Olimpia Pamphilj
Nel maggio del 1594 nasce a Viterbo, da famiglia modestissima, Olimpia Maidalchini, che avrebbe avuto un peso preponderante nel governo di Roma per almeno un decennio. In prime nozze sposò un ricco possidente viterbese, che muore dopo appena tre anni, poi concupì Pamphilio Pamphilj, anzianotto e squattrinato, ma dalla grande famiglia, e fratello del futuro papa Innocenzo X. Arriva a Roma, e inizia l'ascesa. Appena il nuovo pontefice si fu installato in Vaticano, Olimpia orchestra le prime abili mosse per consolidare la sua posizione nella Curia. Il chiaro scendente che ella esercitava sul pontefice divenne subito motivo di scherno da parte del popolino. Donna Olimpia (diventata Pimpaccia dopo una serie di malefatte) offrì quotidianamente materia a Pasquino e Marforio. La fama delle sue ruberie, l'assenza di scrupoli, la quotidiana battaglia tesa ad accrescere le sue ricchezze, le procurarono l'odio del popolo. Quando nel 1654, il pontefice subì un peggioramento della salute, Olimpia capì che la fine era vicina. da quel momento ogni notte si poteva scorgere una carrozza che attraversava ponte Sisto, procedendo a fatica: era la Pimpaccia che trasportava dal vaticano al suo palazzo di piazza Navona quanto di valore riusciva a sottrarre alla Corte Pontificia. Dopo la morte del papa, fuggì da Roma, e morì, forse di peste, a 63 anni, a San Martino.
Livia
Livia Drusilla sposò Augusto nel 38 a.C., all'età di 21 anni e, pur essendo maritata da cinque anni con Tiberio, Ottaviano era così perdutamente innamorato di lei che la sposò incinta di cinque mesi. Ebbe Druso, figlio del precedente marito, mentre a Ottaviano non dette figli. Alcune fonti la indicano come donna intrigante e sempre in mezzo agli affari di governo, in realtà fu una moglie fedele, un'ottima consigliera ed esercitò sul marito un'influenza equilibratrice. Tacito, con una punta di cattiveria, insinua che ella fu l'ispiratrice di alcune morti eccellenti, quali quelle di Marcello e di Germanico. Morì nel 29 a 87 anni, e fu divinizzata dal nipote Claudio.
Le attrici di Roma
Un compito impossibile quello citare tutti i volti femminili romani del cinema e della televisione. Altrettanto ingiusto, in un piccolo spazio dedicato alle donne di questa città, non nominarne alcuno. Per questo motivo, abbiamo fatto una rapida carrellata sul Novecento, chiedendo fin d'ora scusa per le omissioni, non volute. Cominciamo con un sorriso ripensando a Bice Valori, briosa, spiritosa, poliedrica, divertente personaggio in più di quaranta film. Chi non ricorda le sequenze di "Riso amaro", con un'indimenticabile Silvana Mangano, bellissima accanto a Gassman, futura sposa di Dino De Laurentis. Altra bellezza tipica romana, Silvana Pampanini, vincitrice del concorso Miss Italia del 1946, che al tempo fece sognare milioni di italiani. Nata nella capitale anche Giovanna Ralli, che inizia giovanissima con commedie e trova poi, diretta da Rossellini, spazio in ruoli drammatici come nel film "Era notte a Roma". Cosa dire dell'affascintante, ironica, sensuale Monica Vitti, impegnata con i più grandi registi italiani, Antonioni, Scola, Monicelli, ed anche con l'amato Alberto Sordi in "Polvere di Stelle". Un debutto da giovanissima per Ornella Muti, ideale della bellezza italiana, scoperta da Damiano Damiani, una lunga carriera lavorando con Nuti, Pozzetto, Celentano, ma interpretando anche ruoli drammatici con Risi e Monicelli. Soprattutto al teatro appartiene Monica Guerritore, a lungo compagna di vita di Lavia, attrice impegnata sul palcoscenico con Edipo re, Macbeth, Riccardo III, Zio Vanja. Ancora nomi che rappresentano la romanità: Nancy Brilli, attrice di teatro, cinema e televisione, e l'immancabile Sabrina Ferilli, simbolo giallo rosso della città.